Il risveglio è un movimento verso il centro di sé
Il risveglio è un movimento verso il centro di sé che travolge radicalmente tutto il nostro essere, ogni idea che abbiamo di noi come persona e di ciò che è il mondo.
Più ci avventuriamo nelle profondità della nostra psiche più ci avviciniamo alla nostra vera natura; la scoperta di tale genuina essenza non ha nulla di personale, veniamo in contatto con un luogo eterno nel tempo e nello spazio, un ‘non luogo’ oltre la mente. Scopriamo, in questo non luogo, che è la nostra stessa mente a creare la percezione di separazione fra noi e gli altri, fra noi e ogni altra manifestazione fisica del regno animato e inanimato nel quale abitiamo; la mente organizza la nostra struttura psichica in modo del tutto automatico, indipendente da ogni nostra volizione, in base alle caratteristiche personali innate e all’ambiente nel quale ci troviamo a nascere e a crescere.
Come la mente crea il senso di separazione
Nel momento in cui veniamo al mondo, ma anche nello stadio embrionale, la parte di mente che presiede alla nostra sopravvivenza fisica e psichica – spesso definita ego – comincia a regolare la percezione di noi stessi e del mondo. Senza entrare in definizioni prettamente cliniche, quali ad esempio l’impossibilità del neonato di differenziare fra sé e gli altri, la mente o l’ego compie il miglior lavoro possibile per garantire la nostra sopravvivenza. Facciamo un semplice esempio: se l’ambiente intorno al bambino o al feto non provvede in modo adeguato ai suoi bisogni di accudimento fisico ed emotivo, l’ego provvederà in automatico a creare un filtro mentale di percezione della realtà affinché questa non sembri più così minacciosa. La mancanza di cure adeguate crea infatti uno stato di stress intollerabile, una vera e propria minaccia di morte poiché il bambino o il feto non hanno alcuna possibilità di sopravvivere autonomamente in assenza di cure genitoriali.
Non importa quale sarà il filtro – o meglio i filtri – che la mente utilizzerà, in quel momento sarà la miglior strategia per poter superare l’ansia, l’angoscia o qualunque altro stato emotivo doloroso. Come appare del tutto sensato data la sua specifica funzione, l’ego contiene in sé non soltanto le istruzioni per garantire la sopravvivenza dell’individuo e quindi della specie, ma anche i dettami che presiedono alla sua stessa sopravvivenza. Per tale ragione è particolarmente difficile per la grande maggioranza degli adulti entrare in contatto con le parti di sé che la mente ha celato; nell’istante in cui un evento riattiva la memoria inconsapevolmente nascosta di una situazione dolorosa, sarà il filtro mentale relativo a quella memoria ad entrare in azione colorando il presente con i toni del passato.
Il risveglio ci permette di superare la paura della morte
Superare questo filtro per entrare in contatto con la realtà significa non soltanto rivivere quella sofferenza che la memoria ha volutamenta obliterato, ma anche neutralizzare il meccanismo mentale che ci ha permesso di farlo, ed è proprio quest’ultimo aspetto che ci rende estremamente reattivi ai cosiddetti ‘eventi trigger’. Superare un evento trigger – ovvero una situazione che rimanda ad un momento traumatico del passato – rimanendo in contatto con ciò che sentiamo, rappresenta un pericolo mortale per l’ego, poiché conduce inevitabilmente alla distruzione dello stesso meccanismo egoico; quando l’evento causale viene in superficie non ci sarà più alcuna ragione di esistere per l’ego!
Ho desiderato spiegare in dettaglio questo meccanismo poiché troppo spesso viene inteso, o viene fatto intendere, in particolare nella cosiddetta spiritualità new age, che vi sia qualcosa di inerentemente ‘debole’ o ‘negativo’ o ‘fallace’ in quanti ‘fuggono da sé stessi’. Vi posso assicurare che ciò non è assolutamente vero; la fuga da sé, o meglio l’evitamento dei profili dolorosi delle nostre parti inconsce è del tutto involontaria, è incontrollabile ed istintiva, tanto quanto è istintivo fuggire da un leone che ci insegue (improbabile evento), un incendio o un bombardamento. Lo stesso accade quando le nostre strutture egoiche si trovano in pericolo di crollo: ciò che temiamo in quel caso è ugualmente la morte o l’annichilimento, che sia del corpo o del meccanismo egoico per la mente non può fare alcuna differenza.
E’ quindi naturale, nel senso che è insito nella struttura fisiologica umana, evitare ogni stato di sofferenza e ricercare gli stati e le occasioni di piacere. Solamente di fronte a una fortissima motivazione saremo disposti a soffrire, a sopportare il dolore o a rinunciare al piacere; più grande è la prospettiva di sofferenza più forte dovrà essere tale motivazione. Se osserviamo gli atleti capiamo che la prospettiva della vittoria e del superamento dei propri limiti è una motivazione più forte della sofferenza dei duri allenamenti.
L’accesso alla via spirituale parte dalla dualità dolore/piacere
Molto spesso l’interesse per il percorso spirituale viene attivato da esperienze spontanee chiamate momenti di picco: una totale estatica connessione con ciò che ci circonda, nella quali perdiamo la cognizione di spazio e tempo. Queste esperienze sono caratterizzate dalla percezione di qualcosa di infinitamente gioioso e benevolo che è più grande di noi ma del quale al contempo siamo parte integrante. I momenti di picco permettono alla mente di aprirsi oltre i confini dell’istinto di conservazione dell’individuo, inducendolo ad affrontare enormi ostacoli pur di sperimentare nuovamente e – possibilmente – in modo permanente la più grande verità dell’essere.
Lo stesso è vero per i momenti di profondo sconforto o disagio fisico e mentale: la via spirituale diventa uno strumento per trovare sollievo alla sofferenza. E’ lo stesso mondo manifesto, inevitabilmente abitato da esperienze sia piacevoli sia dolorose, che può indurci all’apertura dello spirito; il bastone e la carota universali, per così dire, che aprono la strada alla scoperta dell’uno, nel quale ogni esperienza è compresa nello spazio più grande dell’essere. Ciò non significa che dolore e piacere cessino di esistere, ciò che muta è il significato che noi attribuiamo agli eventi quando ricordiamo che essi sono la proiezione cinematografica di un film che abbiamo scritto, sceneggiato e diretto e dei quali siamo protagonisti, antagonisti e comparse. Questo spazio indiscriminato di esperienza viene magistralmente espresso nel famoso racconto zen del contadino cinese, il quale risponde sempre “forse” di fronte ad eventi che ai suoi vicini appaiono indiscutibilmente buoni o cattivi. La storia non si limita a suggerire l’astensione dal giudizio in prima battuta ma riguarda, più in profondità, la saggezza che riconosce il naturale scorrere dell’esistenza e la futilità del tentare di opporsi a tale flusso. La new age la chiamerebbe assenza di resistenza; io preferisco ciò che i maestri di oggi definiscono sì totale alla vita: l’illuminazione.
Il risveglio non è per pochi eletti ma è la nostra condizione naturale
La storia del risveglio permanente – o illuminazione – di Eckhart Tolle è stata resa nota dall’enorme successo del suo libro Il potere di adesso, nel quale l’autore narra di come si sia lasciato cadere nel vortice della sofferenza, udendo una voce dentro di sé che gli intimava di non resistere.
Spesso le nostri menti interpretano le altrui esperienze di risveglio, come questa descritta da Eckhart, come eventi straordinari riservati a pochi, altrettanto straordinari, eletti. In realtà il risveglio è la condizione naturale di ogni elemento manifesto, umani compresi.
Tuttavia, per la maggior parte di noi, questa inalterabile verità è offuscata dagli strati protettivi creati dalla mente. Per esprimerla usiamo allora l’analogia del cielo coperto di nuvole: la fiamma sempre accesa della nostra essenza brilla eternamente anche quando le nubi, che sono i nostri pensieri ed emozioni condizionate, ne offuscano lo splendore. In questo senso si legge la parabola della lampada nei diversi vangeli: la luce del vostro essere va liberata affinché illumini tutti quelli che sono sono pronti a riconoscerla in sé stessi.